Festambiente

I SIGNORI DEL CIBO: CHI CONTROLLA QUELLO CHE MANGIAMO?

2 Luglio 2017

Sabato 1 luglio lo spazio delle conferenze a Festambiente Vicenza è stato dedicato al tema del cibo: delle filiere, dalla loro origine fino alle nostre tavole e di quali sono le conseguenze che queste filiere comportano a livello sociale e ambientale.  Il punto di partenza del discorso è stato il libro di Stefano Liberti, giornalista d’inchiesta e autore de “I signori del cibo” e il titolo della conferenza faceva riferimento proprio a questo: “I signori del cibo: chi controlla quello che mangiamo?”. Si è parlato di quelle che l’autore definisce “aziende locusta”, aziende che agiscono sui territori come uno sciame di locuste, depredando velocemente per poi spostarsi e ripetere tutto daccapo. Tutto questo si inserisce in un contesto in cui il cibo è diventato una “commodity”, ovvero una «merce che è un po’ uguale in tutto il Pianeta e che quindi si può produrre ugualmente in tutto il Pianeta, che si produce laddove costa meno e che poi si può spostare facilmente», per dirla con le parole di Liberti. Facile capire come si possa arrivare quindi a concetti di sfruttamento delle risorse e del profitto come unico parametro di riferimento. Da qui alla perdita del contatto con la natura e con gli ecosistemi in cui viviamo il passo è breve. Se una volta, ai tempi della civiltà contadina, si creava in modo naturale e spontaneo un equilibrio tra dare e avere, tra risorse prese e ricevute e il cibo aveva il valore della terra lavorata, della manodopera dei contadini o degli allevatori, ma anche della salute di un territorio e degli animali inseriti in quel contesto, ora tutto questo si è perso. E la conseguenza sono una serie di pratiche ormai consolidate che hanno reso possibile quella globalizzazione che 30 anni fa si pensava potesse essere la risposta a tutte le domande e la formula del benessere e della felicità. Basti pensare agli allevamenti intensivi dove l’animale non è più un essere vivente con dei diritti, ma è merce anche quando è vivo.

Non poteva quindi mancare nella discussione la presenza di Coop, cooperativa di 8,4 milioni di soci consumatori che fa parte della grande distribuzione, ma che cerca di differenziarsi perseguendo obiettivi di sicurezza, bontà, trasparenza, convenienza, etica ed ecologia, come ha spiegato Renata Pascarelli, Direttore Qualità di Coop, intervenuta al dibattito. Coop dall’inizio del 2017 è partita con il progetto “Alleviamo la salute”, che comprende tutta una serie di interventi per garantire il benessere animale, ma anche la salute del consumatore, soprattutto con l’intento di arrivare, negli allevamenti selezionati, alla completa eliminazione degli antibiotici usati.

Altra realtà del mercato globale intervenuta è stata Altromercato: il Presidente del consorzio, Cristiano Calvi, ha raccontato il contesto in cui è iniziata l’esperienza e quello attuale. Da 30 anni a questa parte molto è cambiato: alcuni produttori dei Paesi svantaggiati del mondo sono riusciti a sottrarsi al sistema dei veri signori del cibo, gli intermediari, che strappano prezzi irrisori, fissati dai grandi gruppi mondiali e che non permettono una sussistenza dignitosa dei lavoratori. Se Altromercato è riuscita ad arrivare alle dimensioni attuali è grazie alla coscienza di molti consumatori che sono diventati attivisti.

«Queste sono le buone pratiche che indicano la direzione giusta», ha affermato Roberto Brioschi, attivista della terra e membro di “Rete Semi Rurali”, oltre che curatore del libro “L’agricoltura è sociale”. Con il suo intervento ha ricordato come dagli anni ’70 si sia registrato, in Europa, ma soprattutto in Italia, un ritorno alla terra, inteso come necessità di ritornare ad avere un contatto con la natura, con i suoi ritmi, seguendo principi di sussistenza, dalla parte opposta rispetto al concetto di superfluo che guida il mercato al giorno d’oggi. Brioschi definisce infatti il mercato come «un’astrazione, la capacità delle multinazionali di imporre il superfluo». In questo modo i signori della terra stanno tornando ad essere i popoli, coloro che detengono la proprietà dei saperi tradizionali relativi alla produzione del cibo. Ed è così che deve essere. Si deve arrivare, secondo Brioschi, ad una “garanzia partecipata” che permetta di stabilire insieme la costruzione di una filiera sana e del prezzo conseguente. Solo così si possono sconfiggere effetti come il caporalato, che come ha sottolineato Liberti, non è solo la parte di sfruttamento dei lavoratori extracomunitari, che è quella più visibile e quella terminale, ma è tutta una filiera malata, dove la “battaglia del sottocosto” impone dei prezzi che schiacciano anche i produttori.

C’è tutto un sistema da ridimensionare, un sistema in cui ci sia completa trasparenza e in cui siano sostenibilità sociale e ambientale a dettare i prezzi, prezzi che non necessariamente crescerebbero a dismisura, ma farebbero la differenza nella sussistenza dei lavoratori delle filiere e delle loro famiglie, innescando meccanismi positivi nel mercato globale.

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