Rifiuti

A-MARE I RIFIUTI

14 Novembre 2018

Se la produzione di rifiuti aumenta e non si creano soluzioni efficaci per riutilizzare e riciclare i materiali, la soluzione sembra essere quella di nasconderli sotto il tappeto, e soprattutto se si vive al largo dell’oceano, il mare può essere quel tappeto, sia perché i rifiuti vi vengono gettati direttamente, sia perché ci arrivano trasportati dai corsi d’acqua.

Murales di Banksy dipinto a grandezza naturale su una parete di Chalk Farm, un quartiere del borgo londinese di Camden.

La domestica Leita alza l’intonaco del muro per nascondervi lo sporco: è il simbolo di chi ignora i grandi problemi del mondo, nascondendo “la spazzatura sotto il tappeto”.

Murales di Banksy dipinto a grandezza naturale su una parete di Chalk Farm, un quartiere del borgo londinese di Camden.
La domestica Leita alza l’intonaco del muro per nascondervi lo sporco: è il simbolo di chi ignora i grandi problemi del mondo, nascondendo “la spazzatura sotto il tappeto”.Nell’anno 2013/2014 Anita Galvan di Arci Servizio Civile Vicenza ha vissuto in Indonesia grazie alla borsa di studio Darmasiswa. Lo scorso maggio è tornata lì in vacanza per visitare l’isola di Flores. Nella città di Maumere ha alloggiato presso un’abitazione che promuove uno stile di vita più sostenibile: qui gli ospiti vengono invitati una volta a settimana a ripulire alcuni tratti di spiaggia dai rifiuti accumulati, ma si cerca di raccogliere anche il materiale che galleggia nell’acqua, attraverso lo snorkeling.
La fatidica regola delle R, riuso, riciclo e riduzione dei rifiuti, si confronta con il contesto geografico indonesiano, i suoi aspetti socio-culturali e il sistema politico-economico orientato a favorire beni monouso.

L’alloggio Pantai Paris di proprietà della sig.ra Susilowati Koopman, si trova nella città di Maumere, dell’isola di Flores.
Qui Susi cerca di prevenire a monte la produzione di rifiuti, incoraggiando nell’abitazione il non uso di diversi materiali, attraverso per esempio l’uso di borracce per l’acqua potabile, al posto delle bottiglie in plastica, oppure di borse in stoffa riutilizzabili per fare la spesa, invece dei sacchetti usa e getta.
Nelle isole indonesiane la cultura della vendita di prodotti sfusi è poco diffusa: soprattutto nei generi alimentari e nei detergenti vengono predilette confezioni monodose. Nei mercati questo non accade, ma si fa un utilizzo eccessivo di sacchetti di plastica. Facilmente, data la scarsa disponibilità di acqua potabile, questa viene venduta e servita in bicchieri di plastica leggera monouso con cannucce non riciclabili.

L’ingente quantità di materiali di scarto ha portato a ritenere quasi lecito lo sversamento di rifiuti direttamente nell’oceano o in altri scarichi e fossi. Il Governo è apparentemente attento al problema, tanto da aver dotato le città di cestini adatti alla raccolta differenziata. Tuttavia, il riciclo è molto difficile da attuare e costoso: gli impianti sono distanti dal luogo di produzione, i rifiuti devono essere trasportati dalle imbarcazioni implicando un costo non solo economico, ma anche ambientale, in termini di dispendio di carburante ed emissioni.
Inevitabilmente quindi, la maggior parte della spazzatura viene sversata in mare.
Molti cittadini si impegnano a ripulire tratti di spiaggia scegliendo poi di dar fuoco ai rifiuti, spostando il problema sull’inquinamento dell’aria e del suolo.

Nel corso degli anni Susi ha creato una struttura in cui si educa al riutilizzo dei materiali, e il suo alloggio, Pantai Paris, impiega lavoratori in situazione di disagio, includendo categorie socialmente svantaggiate come persone con disabilità. Susi, che fa parte del movimento internazionale Trash Hero, cerca di fare pressione politica sui produttori di oggetti usa e getta denunciando l’enfasi della dicitura “riciclabile” sui flaconi di detersivi e prodotti per l’igiene personale, che di fatto non lo saranno concretamente, dato che l’Indonesia non possiede né la capacità né gli impianti e le attrezzature per gestire una raccolta e conferimento dei rifiuti degne di questo nome. Alcuni impianti si trovano a Giava nei pressi della capitale Giacarta e solo una minima parte di imballaggi potrà arrivarci: si tratta per lo più di discariche, come quella di Bantar Gebang, una delle più grandi al mondo, ma non certo la più efficiente, dal momento che i cumuli di rifiuti toccano anche vette superiori ai 20 metri.

Diverse sono le realtà che promuovono la produzione di beni a partire da scarti, come l’ONG Bye Bye Plastic Bags ideato da bambine balinesi, oggi ragazze, con l’obiettivo di dire no all’utilizzo di borse di plastica. Tra i progetti in corso, alcuni partner progettano borse a partire da giornali e riviste e altri materiali di scarto.

Giornata di pulizia delle spiagge con la partecipazione di Bye Bye Plastic Bags (Fonte: pagina Facebook Bye Bye Plastic Bags)
Giornata di pulizia delle spiagge con la partecipazione di Bye Bye Plastic Bags (Fonte: pagina Facebook Bye Bye Plastic Bags)
Condivisione di buone pratiche per ridurre la plastica a luglio 2018: “How is your #PlasticFree July going so far? Tell us in the comments below what YOU are doing to go as plastic free as possible this month!” – Come sta andando il vostro luglio #PlasticFree finora? Raccontateci nei commenti cosa state facendo per liberarvi dalla plastica il più possibile durante questo mese! (Fonte: pagina Facebook Bye Bye Plastic Bags).
Borsa realizzata con materiali di scarto a cura dei partner di Bye Bye Plastic Bags (Fonte: pagina Facebook Bye Bye Plastic Bags).

A Surabaya, nell’isola di Giava, il biglietto dell’autobus si paga donando bottiglie o bicchieri di plastica: un biglietto valido per due ore costa 5 bottiglie o 10 bicchieri.

Nonostante i progetti in essere, il problema resta talmente urgente che la R che davvero può fare la differenza è la riduzione dei rifiuti.
Vivere utilizzando con sobrietà beni e materiali può arginare il problema, che al momento non ha fattive soluzioni. L’educazione dei bambini alla riduzione dei consumi, che a loro volta si fanno portavoce alle famiglie e agli adulti, può innescare un processo di cambiamento, seppur a piccoli passi.
Non dobbiamo dimenticarci, come sottolinea Anita e come evidenziano le cronache nazionali e internazionali, che il problema della produzione di rifiuti non riguarda solo i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, ma è di portata globale e che ciascuno di noi, attraverso semplici gesti, è chiamato a fare la propria parte.
In Europa si stanno via via bandendo molti articoli usa e getta in plastica per arginare anche il fenomeno delle microplastiche (leggi l’articolo sulla Giornata Mondiale dell’Ambiente quest’anno dedicata alla lotta alla plastica monouso, in linea con la messa al bando a partire dal 2019 di prodotti in plastica usa e getta annunciato a maggio 2018 in un comunicato della Commissione Europea). Dal 2013 è indetta la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti che quest’anno si terrà dal 17 al 25 novembre e diverse sono le campagne per evitare l’uso di plastica come “Io sono Legale” in collaborazione con Re.ma.plast, che sensibilizza all’uso di sacchetti compostabili (leggi l’articolo).
Il valore aggiunto però può farlo ciascun consumatore: attraverso scelte critiche, intelligenti e responsabili ognuno di noi ha un potere enorme per orientare le aziende a riprogettare i beni affinché siano più durevoli, più facilmente riparabili, riutilizzabili e infine riciclabili.
Ma prima di tutto occorre essere consapevoli delle tipologie e della quantità di rifiuti che generiamo quotidianamente, provare a fare a meno di determinati beni altamente impattanti, boicottare chi propone alternative a basso costo, per cui, si sa, è inevitabilmente l’ambiente a pagarne le conseguenze.

Alessandra Pepe & Anita Galvan

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